Talvolta senti il bisogno guardare al cielo, di togliere pesi ma non perdere la sostanza, di trovare un equilibrio alla densità interiore e alle forze che ti attirano verso il basso. Di guardare alla mostruosità della vita senza morire, come fa Persèo con la Gorgone attraverso lo specchio del suo scudo.
Ce lo insegna Italo Calvino nelle sue Lezioni americane alla sezione dedicata alla Leggerezza dello scrivere. La letteratura ci giunge in nostro aiuto, quando necessitiamo di leggerezza, e lo fa con degli esempi di raffinatezza formale che ci elevano verso l’alto nel leggerli, quasi a toccare il cielo, a tramutare in meraviglia anche la morte. Ecco che Pèrseo di Ovidio poggia la testa dell’orrenda Gorgone su di un delicato letto di foglie, e le foglie si tramutano in coralli: grazia e suggestione.
Poi c’è Guido Cavalcanti, l’amico di Dante, il poeta-filosofo con la mente sempre a contemplare l’intelletto e il divino e a parcellizzare le proprie passioni. Il poeta per cui l’amore è forza devastante e mortifera, ma è proprio la morte che Guido sfida con la leggerezza dei suoi versi, un sospiro dopo l’altro perfettamente calibrati negli endecasillabi ritmati e stilisticamente controllati. Boccaccio lo rende partecipe di una sua novella: c’è una brigata di giovani che scorrazza a cavallo per la città di Firenze; Guido cammina pensoso e li sente arrivare. Vogliono divertirsi con lui. Guido li rifugge: appoggia le mani su di un’arca di marmo, la salta e se ne va. Cavalcanti in realtà fa due cose: supera la leggerezza terrena, vacua e insensata, poi supera la pesantezza della morte con la leggerezza interiore di chi non perde mai di vista la sostanza.
È questo gesto leggero e improvvisato, questo movimento dal basso verso l’alto, questo non temere la morte che può salvarci dalla durezza della vita. Ce lo ricorda Calvino, che la letteratura è il nostro salto oltre la morte, verso il cielo.
